Nessuno lo avrebbe pronosticato alla vigilia, ma durante la lavorazione il copione è stato via via aggiornato e alla fine ha vinto il migliore, colui che più di tutti ha saputo interpretare il gioco, adattandolo a tutte le situazioni, comprese le condizioni atmosferiche: col sole e con il vento, e – come da tradizione – con una fitta e incessante pioggia nell’ultimo giorno. Il vincitore della 151° Open Championship di golf è il trentaseienne mancino Brian Harman.
Piccolo di statura, ma gigantesco per come ha saputo interpretare la gara, l’americano di Savannah, in Georgia, ha chiuso la gara in 271 colpi (67 65 69 70), facendo il vuoto dietro di sé. In qualche modo ha confermato la tradizione: aveva chiuso i primi due giri in 132 colpi, proprio come, su questo stesso campo, Tiger Woods nel 2006 e Rory McIlroy nel 2014. Entrambi poi avevano iscritto il proprio nome sul trofeo più ambito del golf: la Claret Jug. Alle sue spalle, staccati di ben 6 colpi, un quartetto composto dallo spagnolo Jon Rahm, dall’australiano Jason Day, dall’austriaco Sepp Straka e dal sudcoreano Tom Kim
Anche nel quarto giro, Harman è partito male, con due bogey, ma come nel terzo, non si è perso d’animo e ha subito rimesso le cose a posto con i birdie alla 6 e alla 7 che, di fatto, hanno rispedito al mittente le ambizioni di rimonta degli inseguitori.
Harman, il cui unico difetto è… una lunga routine di preparazione al colpo (una serie infinita di finte), ha impressionato per le strategie adottate, per la precisione dei colpi (non è molto lungo) e per la capacità di imbucare da qualunque distanza e soprattutto nelle condizioni psicologiche più delicate. Prima di questa vittoria, che gli fa incassare un assegno di 3 milioni di dollari su un montepremi di 16,5, che gli dà immenso prestigio e lo fa risalire di molto nel ranking mondiale (era 29°), Harman vantava due successi sul Pga Tour e un secondo posto allo Us Open 2017, quando però, proprio nel finale, si fece battere da Brooks Koepka. Stavolta ha fatto tesoro di quella esperienza e ha gestito tutto al meglio. I problemi li ha lasciati tutti ai suoi avversari. Nei giorni scorsi ha dichiarato che il suo sogno più grande è la partecipazione alla Ryder Cup.
In passato è andato più volte vicino alla qualificazione, senza però riuscirci. Stavolta però ha bussato più forte alla porta del capitano di turno. L’abbraccio di Zach Johnson a fine gara può essere foriero di buoni presagi. Il piccolo-grande mancino americano potremmo vederlo a fine settembre al Marco Simone. Chissà. E, soprattutto, perché no? Con la sua precisione sarebbe utilissimo soprattutto nei doppi. A noi europei, invece, l’Open Championship consegna un Sepp Straka in grande condizione, oltre a un solido Jon Rahm che qui non ha brillato, ma che comunque è arrivato secondo. Peccato per Tommy Fleetwood: ha chiuso al decimo posto, tradito nel finale un putt impreciso e da un pesante triplo al par 3 della 17. Non ce l’ha fatta invece Rory McIlroy a interrompere il digiuno in fatto di major. L’ultimo dei suoi 4 lo vinse proprio al Royal Liverpool nel lontano 2014. Un’eternità fa per uno come lui.
Chiusura senza gloria e con tanta delusione per Guido Migliozzi. Il suo 80 finale pesa come un macigno. Lo ha fatto scivolare in 64ma posizione e ha un po’ raffreddato le speranze alimentate dopo i primi 3 giri per una rimonta in chiave Ryder Cup. Peccato. Non è ancora finita, ma il tempo stringe.